Manzoni c’entra eccome… leggete qua!
Il grande scrittore, che all’anagrafe si qualificava come possidente, anziché come poeta, ha sempre considerato l’agricoltura il suo primo mestiere e la letteratura una passione civile.
Alla sua morte, avvenuta in seguito a una rovinosa caduta sul sagrato di una chiesa milanese, la chiesa di San Fedele, nel lascito testamentario faceva ricchi gli eredi di 96 ettari, attorno alla villa del Brusuglio a Varese e di 106 della tenuta la Cascinazza presso Lodi.
Manzoni, come arrivava il bel tempo, copriva spesso anche a piedi, gli 11 km che lo separavano dalla casa milanese di via del Morone alla tenuta del Brusuglio. La vasta proprietà, ereditata da Carlo Imbonati, il secondo marito della madre Giulia, non era affatto il buon ritiro del letterato e nemmeno il piacevole svago della villeggiatura. Era, in realtà, coltivazioni e raccolti, su cui lo scrittore, vigilava di persona e con cura. Per un certo periodo fu anche di sua proprietà la tenuta del Caleotto, ereditata dal padre, conte Pietro, presto venduta per la sua scomodità eper la scarsa rendita.
Appassionato di botanica, aveva architettato un parco di 1500 piante, in prevalenza ad alto fusto (querce, castagni, noci…). Fu il primo a coltivare in Lombardia, piante di agrumi, limoni in particolare, nonchè ad importare le robinie, piantate con il compito di impedire frane e proteggere rive.
L’abate Fauriel, che di Manzoni era il corrispondente letterario, l’amico fidato, colui che lesse da subito, i primi capitoli dei Promessi Sposi, era spesso pregato di fargli pervenire da Parigi, da un vivaista di loro conoscenza, “una fascina di innesti di alberi da frutto”, che l’interessato spediva di persona; Manzoni del resto aveva allestito un frutteto con centinaia di alberi da frutto: mele, pere, albicocche, ciliegie, prugne.
Molto ben organizzato e ambizioso, era, soprattutto il vigneto, tanto da chiedere alla contessa Costanza Arconati di procurargli 1500 barbatelle di vitigni bordolesi delle qualità più rinomate. Si considerava così esperto di viticoltura che fu spesso tentato di scrivere lui stesso, un trattato di ampelografia. Lo scrittore fu anche uno sperimentatore di coltivazioni esotiche, come il cotone e il caffè ma con scarsi risultati.
Nel vasto parco del Brusuglio, esisteva anche una risaia a fini domestici: le piantine vennero acquistate dal Manzoni in persona a Pavia. Il vero core business delle produzioni però, fu l’allevamento dei bachi da seta, che seguiva con il figlio, il terzo avuto da Enrichetta Blondel, Filippo. Per il nutrimento aveva impiantato una grande quantità di gelsi, nelle annate buone la rendita era notevole e consentiva anche buoni accumuli di denaro. Ricchezza che non gli dava invece la letteratura.
In una lettera al cugino Giacomo Beccaria, scritta nel 1839, lamenta che erano in circolazione 60000 copie pirata dei Promessi Sposi, senza per lui guadagno alcuno . Anche il figlio Enrico, il suo secondogenito, mentre il primo si chiamava Pietro, aveva fatto forti investimenti sulla coltivazione del baco da seta, utilizzando tutta la dote della moglie, Enrica Radaelli, salvo poi ridursi in povertà, a seguito della crisi dei bachi da seta, dovuta ad una vasta epidemia. Enrico Manzoni visse, in seguito, in estrema povertà, con il solo aiuto paterno, piuttosto saltuario. Attorno alla metà dell’ottocento i bachi furono infatti colpiti da una epidemia di pebrina, un parassita che si annidava sulle foglie del gelso.
Era Manzoni talmente dedito alle sue attività agricole e commerciali che in una famosa lettera a Marco Coen, figlio di un banchiere veneziano, consiglia di seguire le orme del padre anzichè dedicarsi alla letteratura e alla poesia, scrivendogli che, sarebbe più impacciato il mondo nel trovarsi senza banchieri, piuttosto che senza poeti.
Anche la casa milanese di via del Morone, oggi casa museo non lontana dal Duomo di Milano, aveva un piccolo parco con piante così alte da oscurarne la vista.
La figura di Manzoni possidente, meglio ci aiuta a comprendere le tante pagine agricole presenti nei Promessi Sposi. Pagine che si esemplificano nella celeberrima descrizione della vigna di proprietà di Renzo Tramaglino, raccontatata dallo scrittore dopo il devastante passaggio dei Lanzichenecchi.
Giunto all’età di 65 anni, Manzoni si trovò a fronteggiare una grave crisi economica a seguito di un incendio nella tenuta del Brusuglio, che gli costò ben 60000 lire, coperte con ipoteche e debiti e dalla crisi della coltivazione del baco da seta. Solo nel 1860 il Re Vittorio Emanuele II dopo la seconda guerra di indipendenza, gli concesse una pensione annua di 12000 lire (circa 30000 € al cambio attuale) come padre della patria, grazie alla quale ebbe modo di risolleversi e vivere dignitosamente gli ultimi anni.
Il vanto più grande di Manzoni, che pure aveva alle sue dipendenze un molto competente fattore, Leopoldo Maderna, con cui non mancarono scontri e dissapori, fu di coltivare in prima persona come un borghese le sue proprietà, dimenticandosi di essere il conte Manzoni, con annessi e connessi. Egli dunque non attese alla rendita, come un nobile dei tempi andati bensì al profitto legato alla commercializzazione dei suoi raccolti.
Testo elaborato dalle classi quarta A e C
Coordinamento Prof. Davide Sandalo
Hanno collaborato gli allievi del Corso di alternanza alla religione Cattolica.